Valorizzare un luogo a partire dal rispetto per la terra e per chi la abita, con uno sguardo al passato e uno al futuro. La filosofia di Cà du Ferrà sta tutta qui, nella volontà di preservare un paesaggio unico, a cominciare dai terreni incolti, mantenendolo intatto per custodirne la bellezza. E facendo tesoro della cultura contadina, senza rinunciare agli strumenti moderni.
Le buone prassi, l’attenzione alla naturalità che conduce sulla strada della certificazione biologica, sono i pilastri di questa giovane azienda che punta a portare in cantina un prodotto al naturale per farne uscire vini di eccellenza, nati da vigneti certificati. Un obiettivo reso possibile seguendo il ciclo della natura e uno stile di vita sano e genuino, nelle vigne come in cantina.
Il recupero dei vitigni antichi
Fiore all’occhiello di Cà du Ferrà è il recupero dei vitigni rari e antichi, che si colloca nel solco del ritorno al passato e del rispetto di un luogo com’era in origine.
Per riaccordarsi alle originarie colture viticole, l’azienda, nei terreni di Bonassola, punta a riportare alla luce varietà come il Ruzzese, il Rossese Bianco, il Picabon e l’Albarola Kihlgren, presenti fin dall’antichità nelle Cinque Terre e nella Riviera Ligure di Levante e in parte dimenticati nel corso della storia recente.
L’opera di reimpianto di Cà du Ferrà comincia dal Ruzzese, all’interno del progetto dimostrativo titolato “Il recupero della biodiversità attraverso il reimpianto del vitigno Ruzzese” sostenuto da Coldiretti La Spezia, Regione Liguria, CNR di Torino e Slow Food.
A riprendere vita non sarà solo un vitigno dimenticato che, reimpiantato a Bonassola in località San Giorgio, ha ridato i suoi frutti, ma anche tradizioni e storie centenarie.
Non tutti sanno, infatti, che il Ruzzese è l’antesignano dello Sciacchetrà, il vino passito identificativo delle Cinque Terre, ottenuto oggi da uve Bosco, Albarola e Vermentino. E che, invece, Cà du Ferrà ripropone secondo la tradizione di una volta, producendolo dall’uva a bacca bianca del Ruzzese.
Infine, un aneddoto che lega questo antico vitigno a Papa Paolo III Farnese il quale, nella seconda metà del Cinquecento, “Soleva intingere i fichi mondati e inzuccherati nell’amabile Ruzzese”, come narra il suo stesso bottigliere Sante Lancerio, inesauribile ricercatore di vini d’eccezione da offrire al banchetto papale.